- Lee Odia ci presenta “la musica muore”; è stato autoprodotto? Raccontaci un po’ di cosa parli in questo brano
“La musica muore” è stato scritto e interpretato a quattro mani da me (parole e voce) e Antonio Cettolin (musiche); è un viaggio nella nostalgia, nato durante un tragitto in macchina a notte fonda di ritorno da un litigio. Propone, nel ritornello, un tributo alla poesia “Veglia” di Ungaretti, ma sposta l’obiettivo dalla guerra tra le nazioni a quella inter e intra-personale.
- “La musica muore” è un brano che ha una sonorità tutta sua, come avete lavorato al brano?
L’idea di base era quella di ricreare un tappeto musicale tanto etereo e sfuggente nelle strofe quanto carico e struggente nei ritornelli per evocare il saliscendi emozionale che caratterizza i conflitti tra le persone.
- E invece raccontaci un po’ del tuo progetto più in generale, quando è nato e come?
Faccio musica da quando ne ho memoria, ma è un creatura che nel corso del tempo è evoluta molto; ho cominciato facendo le gare di freestyle rap per poi approdare all’hip hop classic, al quale sono andato via via ad aggiungere diversi nuovi elementi derivati dai miei ascolti, fino ad arrivare alla fase attuale che è quasi cantautoriale.
- Come se riuscito a conciliare il tuo mondo personale con quello musicale? Se ti dovessi chiedere tre artisti che non ci sono più e che avresti voluto tanto vedere in concerto, quali sarebbero?
Mi è sempre risultato facile unire le due cose perchè, fondamentalmente, sono la stessa persona sopra e sotto il palco; quando sei coerente e onesto con te stesso viene tutto naturale.
I tre artisti che avrei voluto vedere in concerto? Sicuramente Franco Battiato, che considero un po’ il mio padre artistico e spirituale; oltre al maestro, vi direi gli Who (il mio primo e finora unico album si chiama Teenage Wasteland in loro onore) e i Clash.
- E il tuo punto di riferimento più grande nella vita e nella musica?
Più che un punto di riferimento ho un concetto guida: hard work pays off.