“Ieri è cenere, domani è legno. Solo oggi il fuoco divampa” è uno dei più celebri e significativi proverbi inuit, e proprio dall’Artide Nordamericano trae ispirazione e parte “Eschimesi” (PaKo Music Records/Believe Digital), il nuovo viaggio in musica del cantautore ciociaro Udi, al secolo Felice Pacitto.
Come i raggi solari capaci di disciogliere con dolce perseveranza il ghiaccio figlio di un gelido inverno, allo stesso modo l’artista racconta l’amore, quel sentimento universale puro e privo di egoismo che attraversa l’uomo e mediante esso il mondo intero, permeando con la sua stessa essenza, tersa e cristallina, tutto ciò che incontra, colmando ogni distanza e frammentando ogni barriera, fisica, culturale, religiosa e sociale.
In un ricercato abbraccio indie-pop alternativo dal caldo richiamo MPB, Udi si avvale di riuscitissime analogie in grado di evocare istantaneamente immagini e scenari ben precisi, per condurre l’ascoltatore in una dimensione ideale avveniristica tra «viaggi superdimensionali», in cui regna un’unica regola, quella dettata dal cuore.
«A qualsiasi latitudine o longitudine – spiega Udi – l’amore per me rappresenta sempre il motore di tutto l’universo. Gatti, cani, dromedari, fino ad arrivare agli eschimesi, vivono l’amore secondo natura e istinto. Tramite l’utilizzo di figure retoriche e assonanze, cerco di suggerire la mia personalissima visione di questo. Dalla semplice gestualità di tutti i giorni, come può essere il bere un caffè-latte con l’orzo, alla complessità dell’accoppiamento nello spazio».
«Toccami le corde vocali» e «insegnami a disimparare le capriole che non so ancora fare», sono solo due dei tanti esempi della straordinaria capacità iconografica dell’artista intrisa nel testo, un nero su bianco brillantemente ironico, e volutamente immaginifico, che avvolto da sonorità fresche e accattivanti sa echeggiare leggero, proprio come l’amore, intenso, profondamente etereo, eppur così armonioso e delicato.
E come accade per tutto ciò che ci solleva pur essendo a noi intangibile e ci pervade pur sfuggendo al nostro controllo, anche con l’amore tendiamo a trattenere, a possedere, per il timore di perdere quell’impeto, quell’ardore e quella meraviglia con cui ci concede di osservare noi stessi e gli altri, per la paura di spegnere il fuoco, la luce interiore che non eravamo in grado di scorgere prima, senza la sua guida:
«come in ogni storia d’amore che si rispetti – conclude Udi -, nel brano si avverte l’urgenza di tenere, di stringere, ma anche la consapevolezza che a volte, pur di non perdere se stessi, è necessario accettare il rischio di dover perdere l’altro\a».
Un rischio che vale la pena correre, «come gatti siamesi, persiani o cinesi», che non hanno bisogno di bilanciare minuziosamente pro e contro di ogni situazione, ma, semplicemente, vivono secondo la dottrina del cuore.