La scala capovolta” è il nuovo disco del compositore veneziano Enrico Brion con l’AstroCo(s)micOrk, in uscita il 20 maggio su tutte le piattaforme digitali, distribuito dall’Angapp Music.
Liberamente ispirato a Le Cosmicomiche di Italo Calvino, il disco è stato concepito nel 2023, anno del centenario della nascita dello scrittore. In merito alle influenze che confluiscono nel progetto musicale, l’autore afferma: ≪Nel lavoro ritroviamo la scrittura orchestrale, un po’ di Jazz, un’incursione nel Free. Emerge anche la mia aspirazione lirica e un po’ di grottesco. Forse una sintesi dei miei primi 30 anni di musica≫.
Un’orchestra, l’AstroCo(s)micOrk, formata da legni, ottoni, archi, batteria/percussioni, organico a cui si aggiungono alcuni ospiti solisti, fra cui la voce. Descrittivi ed evocativi i momenti orchestrali, che prendono molto spazio dei 54 minuti dell’album, fra temi che si rincorrono e alcuni giochi ritmici, ma non mancano anche brevi episodi di improvvisazione libera: alcune fulminee incursioni del duo fagotto-percussioni (Matteo Mingotto e Davide Michieletto), che segnano il passaggio in scena di personaggi grotteschi a spezzare la narrazione lirica; ma anche un’improvvisazione libera di trombone (Giulio Tullio) e batteria.
<<In questo disco credo di aver operato, senza nessuna premeditazione, una sintesi fra tre momenti importanti della mia esperienza musicale: la musica classica, il jazz e, in misura più contenuta, l’improvvisazione libera>>, spiega Brion. Per quanto riguarda la prima influenza, egli intende la musica classica del ‘900 le cui risonanze emergono in maniera evidente nell’album. Il jazz, invece, affiora nelle armonie di alcuni brani e nel linguaggio dei solisti, come il flautista Beppe Costantini, il trombettista Sean Lucariello e il clarinettista Stefano Gajon. In ultimo, l’improvvisazione rappresenta per Enrico Brion un momento ludico, libero da vincoli armonici e di struttura. Numerosi, dunque, i musicisti coinvolti nel progetto: Beppe Costantini (flauti), Francesco Socal (clarinetti e sax alto), Lorenzo Ferro (fagotto), Sean Lucariello (flicorno e tromba), Giulio Tullio (trombone), Alberto Azzolini (tuba), Giuseppe Zanella (tuba), Angelica Faccani (violino), Francesca Canova (viola), Gabriele Thai (violoncello), Davide Michieletto (batteria e percussioni), e lo stesso Enrico Brion che, oltre a dirigere l’ensemble, si ritaglia due soli di melodica. Si aggiungono poi, nel ruolo di ospiti: Stefano Gajon (clarinetto solo e sax soprano solo), Matteo Minotto (fagotto solo), Erica Scapin (violoncello), Franca Pullia (voce).
Come è la tua giornata tipo?
Dopo il caffè, che mi restituisce pian piano al mondo, di solito mi metto subito al computer. Sbrigo mail o incombenze burocratiche e poi mi tuffo nella musica. Lavoro agli arrangiamenti o ai pezzi che sto scrivendo. Qualche volta lavoro per il mio corso di composizione (Non sono Mozart!), preparando materiale o guardando i lavori dei partecipanti; o per il corso di musica d’insieme, scegliendo i brani, preparando le parti. Se il pomeriggio non devo andare a insegnare, sono capace di rimanere anche tutto il giorno davanti al pc. Devo dire che quando mi concentro non ho assolutamente la percezione del sole che tramonta. Quando non lavoro, invece, mi piace cucinare per me e per la mia compagna (siamo entrambi ottime forchette). L’anno prossimo mi iscriverò in piscina, per cui la mia giornata tipo inizierà finalmente con una bella nuotata.Cosa sognavi da piccolo?
Sognavo di fare il romanziere. Iniziavo a scrivere grandi saghe ambientate nel Far West, ma dopo poche righe ero già in giardino a vivere quella storia: costruivo la trama nei miei giochi, correndo su e giù per il prato, nascondendomi dietro al pero per spiare qualche ladro di mandrie. Insomma, il mio approccio era quello di sperimentare la storia, poi c’era sempre tempo per scriverla e farne un grande romanzo di genere. Inutile dire che al secondo punto non ci sono mai arrivato. Queste opere incompiute però mi procurarono una discreta fama nel mio ambiente: a ogni compleanno ricevevo da zie e parenti cinturoni, spille da sceriffo, cappelli a tesa larga e frange dappertutto. Ancora oggi ogni tanto sogno di fare lo scrittore, da grande.Cosa ti piace di più del lavoro che fai?
Il mio lavoro si declina in diverse attività. Nell’insegnamento, e in particolare al laboratorio di composizione, mi piace quando realizzo che sto aiutando qualcuno ad “aprire il rubinetto” della creatività. Ricordo quando io portavo timidamente al mio insegnante, Fabio Nieder, qualche appunto, della cui bontà spesso non ero affatto convinto, e lui ci scovava mille possibilità diverse di sviluppo e io tornavo a casa con un entusiasmo ritrovato. Ecco, vorrei riuscire anch’io a essere questo tipo d’insegnante.
Quando scrivo, invece, che sia per me o per altri, il momento più bello è quando scopri (qualche volta accade) che quello che hai pensato è perfino più bello, almeno alle tue orecchie, di come ti aspettavi. E pensi: ma l’ho scritto io? Magia.Qual è il tuo mantra quotidiano?
Caffè, caffè…