L’album d’esordio dei Polo Territoriale, Dimmi, è un viaggio intenso e senza filtri tra le gioie e i tormenti della giovinezza. Lavorando su un terreno musicale che unisce la freschezza del pop punk all’intensità di un alternative rock più maturo, il disco affronta temi personali e universali con una schiettezza disarmante, mantenendo sempre un tocco narrativo. Ogni traccia si lega alla successiva con una coerenza emotiva che rende l’ascolto simile a sfogliare le pagine di un diario segreto, in cui ogni capitolo porta con sé un pezzo di vita.
Si parte con “Brebemi”, una dichiarazione d’amore – ma anche di critica – verso Brescia, la città che ha visto nascere la band. Il tono è leggero, quasi spensierato, ma il testo cela una riflessione amara su come il tempo e il progresso abbiano cambiato il volto dei luoghi che un tempo rappresentavano casa. È un inizio energico e carico di riferimenti che parlano ai cuori di chi quei luoghi li ha vissuti, ma anche a chiunque abbia mai provato nostalgia per un quartiere o una strada che non esistono più nella stessa forma.
Proseguendo troviamo “Serena” e “Pamela”, due pezzi che sembrano gemelli, eppure completamente diversi. “Serena” è una storia d’amore mancato, narrata con il tono di chi cerca di trattenere ricordi che scivolano via come sabbia tra le dita. La melodia pop punk fa da contraltare a un testo che sa di rimpianto. “Pamela”, invece, è più giocosa e scanzonata, una dedica velata a quella persona che arriva come un uragano, scompigliando ogni certezza. Entrambi i brani mostrano il lato più immediato e accattivante della band, senza però rinunciare a una certa profondità.
“Chiara Se Ne Va” è un colpo al cuore, una canzone che parla di fuga e di ricerca di libertà. Qui la protagonista non è solo una ragazza ribelle, ma il simbolo di chiunque abbia sentito il bisogno di scappare da una vita che non gli appartiene. La descrizione è cruda, quasi cinematografica, e la musica incalza come il battito accelerato di chi sta per compiere un salto nel vuoto.
Con la title track “Dimmi”, l’atmosfera cambia radicalmente. È un brano che, pur nella sua brevità, lascia il segno con un testo che si interroga sui grandi temi della vita: il senso di inadeguatezza, il bisogno di risposte, la paura di non trovarle. La melodia, più minimale, sembra voler lasciare spazio alle parole, che colpiscono come pugni.
Poi arriva “Sognando Oslo”, e si entra in un territorio più intimo. Il riferimento a Oslo come luogo ideale è un’immagine potente, un simbolo di pace e serenità che sembra sempre un passo oltre la portata. Il dolore della perdita e la dipendenza affettiva si mescolano a una melodia malinconica ma avvolgente, che resta nelle orecchie anche dopo che il brano è finito.
Il picco emotivo arriva con “Grigio Cemento”, forse il brano più toccante dell’album. Nato in un momento di profonda crisi, il pezzo affronta con coraggio il tema della salute mentale, senza scivolare nel patetico o nel melodrammatico. Le parole sono spietatamente oneste, ma è proprio questa sincerità a renderle così universali. La musica, cupa e densa, sembra riflettere il peso di un dolore che non lascia via di fuga.
La tensione continua con “Tavor”, un brano che sfida apertamente i pregiudizi legati alla terapia e all’uso degli psicofarmaci. La melodia, frenetica e quasi claustrofobica, accompagna un testo che grida a pieni polmoni il diritto di chiedere aiuto, rompendo tabù che spesso rimangono soffocati dal silenzio. È una canzone che provoca, ma lo fa con intelligenza e consapevolezza.
Con “Fiori di Tunisi”, il tema delle dipendenze si fa ancora più complesso. La relazione con l’hashish viene raccontata senza filtri, con un mix di ironia e dolore. La musica si fa più sperimentale, creando un’atmosfera densa e a tratti straniante, come se trasportasse l’ascoltatore dentro la mente di chi sta lottando per ritrovare il controllo.
L’album si chiude con “Berlino”, un viaggio sonoro che cattura l’essenza frenetica e contraddittoria della città tedesca. La melodia è ruvida, quasi sporca, e riflette il caos di una notte vissuta tra luci al neon e ombre profonde. Il lungo finale strumentale lascia una sensazione di sospensione, come se l’oscurità che pervade la seconda metà del disco stesse finalmente iniziando a diradarsi, aprendo la strada a una nuova alba.
Dimmi è un esordio che non si limita a intrattenere: provoca, emoziona, e lascia spazio alla riflessione. I Polo Territoriale dimostrano una maturità sorprendente nel trattare temi complessi, riuscendo a mantenere un equilibrio perfetto tra leggerezza e profondità. È un disco che merita di essere ascoltato con attenzione, perché ogni traccia aggiunge un tassello a un mosaico che racconta la vita in tutta la sua bellezza e difficoltà.