PUNTO non è solo un album d’esordio. È una mappa interiore, una raccolta di luoghi dell’anima e paesaggi emotivi attraversati nel tempo. MaLaVoglia ha cucito insieme anni di musica, esperienze, premi, porte chiuse e viaggi, e ne ha tratto una cartografia personale e insieme collettiva. Ogni canzone è un posto in cui sostare, riconoscersi o perdersi.
Il disco si apre con una sferzata ironica e amara: Sei bravo ma… è il manifesto di chi ne ha sentite tante, forse troppe. È una canzone liberatoria, veloce, affilata, costruita su un elenco di giudizi e consigli non richiesti. “Hai talento ma…”, “sei interessante però…”. Un pezzo che diventa grido e risata insieme, premiato per il Miglior Testo al Premio Pigro Ivan Graziani e Premio Audacia al Fatti Sentire Festival.
Si entra poi nel cuore del disco con Punto, la title track. Il suo valore simbolico è enorme: è il punto di fine e ripartenza, il momento in cui si accetta che per vivere davvero bisogna lasciar andare ciò che non ci appartiene più. Nata da un viaggio in Flixbus di ritorno da Parigi, la canzone vibra di nostalgia e consapevolezza. È un risveglio, un addio, una rinascita.
Con Hamilton si torna a correre. È la metafora perfetta della voglia di vivere con slancio, dopo la paralisi del lockdown. Come il pilota e la sua macchina, MaLaVoglia ritrova una simbiosi vitale con se stesso, con l’amore, con il desiderio di tornare a “volare”. È un brano pieno di luce e slancio, scritto per tutti quelli che hanno ricucito il cuore e vogliono rimettersi in pista.
Terra Rossa è una fotografia struggente del Sud, e in particolare del Gargano, la terra d’origine dell’artista. Mentre le coste vivono di turismo e cartoline, l’entroterra si svuota. Il brano alterna denuncia e affetto, mostrando la bellezza che resiste anche dove sembra tutto finito. È un atto d’amore verso una terra dimenticata, che merita di essere raccontata.
Con Camoscio si scende nei territori più profondi del disco. È la storia di Giacomo, un detenuto, raccontata con una delicatezza rara. Nessun moralismo, nessun giudizio: solo uno sguardo umano, che ci spinge a osservare la realtà da un’altra prospettiva. È il brano che portò MaLaVoglia fino ad Area Sanremo 2018, e si capisce perché.
Freddie è un confronto immaginario tra l’autore e Farrokh Bulsara, il vero nome di Freddie Mercury. È una lettera che diventa specchio, confessione, ricerca. MaLaVoglia si chiede quanto si paghi, umanamente, la realizzazione di un sogno. Musicalmente è essenziale, intensa, sincera. Una delle vette poetiche dell’album.
Vento, in duetto con Roberta Giallo, è la brezza che porta sollievo e malinconia. È un Mediterraneo evocato più che nominato, un mare emotivo in cui le voci si intrecciano. La collaborazione arricchisce l’atmosfera del disco con nuove sfumature vocali e sensoriali, aprendo un piccolo varco verso l’altrove. È una pausa ariosa, un abbraccio.
Il disco torna poi alla terra con Non siamo tutti calciatori, una canzone che unisce autobiografia e critica sociale. MaLaVoglia ricorda il suo passato nelle giovanili del Voghera, ma anche la decisione di dedicarsi alla musica, pur sapendo che non sarebbe stato facile. È un inno alla scelta consapevole, alla passione che resiste nonostante tutto.
Allevati a terra parte da una scritta su un pacco di uova e ci porta a riflettere sulla libertà. “Galline libere, ma allevate a terra”: siamo davvero liberi, o solo convinti di esserlo? È un pezzo simbolico, provocatorio, e allo stesso tempo carico di energia. Live è uno dei momenti più potenti, capace di scuotere e far riflettere.
Chiude l’album Johnny fa il miele, una bomba punk di due minuti. Doveva chiamarsi Mi viene il vomito, e si capisce il perché: è una critica feroce e ironica alla sostenibilità da copertina e all’hypismo modaiolo. Ma poi arriva Johnny, che molla tutto per vivere tra le api. Una storia vera che diventa metafora della fuga, del ritorno alla semplicità, della libertà autentica. Un finale perfetto.