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Manaus: “Un esordio che scuote e lascia il segno” – Recensione

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L’album omonimo dei Manaus non è solo un debutto musicale: è un manifesto, un’esperienza sensoriale che destabilizza e, al contempo, invita alla riflessione. Fin dalle prime note, si comprende che questo non è un lavoro concepito per accarezzare le orecchie, ma per scuoterle, affrontando senza filtri temi come alienazione, decadenza sociale e ricerca di autenticità. Un disco che riflette l’urgenza di spezzare i ritmi soffocanti dell’attuale sistema capitalistico-consumista, aprendo spiragli su una possibile rinascita.

Un concept alienante e liberatorio

Manaus si presenta come un concept album che esplora l’inquietudine contemporanea, scavando nelle pieghe delle emozioni scomode per rivelare un’umanità ferita, ma ancora capace di lottare. I testi, densi e introspettivi, dialogano con una trama sonora poliedrica, che spazia dal noise al doom, dall’alternative alla psichedelia. Il risultato? Un viaggio musicale che ti tiene sospeso tra tensione e catarsi.

Il nome dell’album, che è anche il titolo di una delle tracce, suggerisce una dimensione selvaggia e ancestrale, un richiamo a una natura primordiale in netto contrasto con il disordine artificiale della società moderna.

La forza di ogni traccia

Ogni brano dell’album è una tessera di un mosaico sonoro che disorienta e cattura, trascinando l’ascoltatore in un viaggio senza punti fermi. L’apertura con Pantera evoca immediatamente un mondo arcaico e ritualistico, mentre Calabi Yau si presenta come una vertigine sonora che proietta in universi paralleli.

Con Vertigo, emerge una dimensione più intima e oscura: una discesa lenta e tormentata che sa di claustrofobia esistenziale. Questo senso di smarrimento culmina in Andromeda, un brano che si muove con la pesantezza di un mito, denunciando con forza il sistema che ci imprigiona.

La title track Manaus è una parentesi strumentale che incarna perfettamente l’irrequietezza del progetto, mentre Segasonic si distingue come un urlo sussurrato contro l’alienazione della quotidianità. Con Pulsar, i Manaus trasformano il suono in riflessione, evocando il misticismo di una stella morente.

Un’identità sonora forte e coerente

I Manaus non cercano di piacere a tutti. La loro musica è una dichiarazione di intenti, un mosaico sonoro che unisce noise, stoner, punk e dark wave. Ogni traccia trova il suo significato più profondo all’interno del disco, creando un equilibrio tra sperimentazione e coerenza stilistica.

Conclusioni: un esordio che graffia

Manaus è un disco per chi non ha paura di affrontare le proprie ombre, di sentire l’inquietudine e accoglierla come parte di un processo trasformativo. I Manaus hanno creato un’opera che non si limita a intrattenere, ma sfida, scuote, fa riflettere.

In un panorama musicale spesso dominato dalla prevedibilità, i Manaus sono una boccata d’aria, o meglio, un pugno in faccia: doloroso, sì, ma terribilmente necessario.

Ascolta

Manaus: “Un esordio che scuote e lascia il segno” – Recensione

Il progetto Manaus nasce nel 2018 dalle ceneri di VoodooPank, la varietà del background musicale dei membri della band collide e si fonde in un centrifugato di esoterismo e viaggi spazio/mentali su un tappeto di chitarre distorte vorticose e claustrofobiche, con ritmiche che alternano momenti sognanti ed eterei ad altri più veloci e serrati. Noise/punk/alternative, psichedelia ed atmosfere stoner/doom, con episodi che ricordano la dark wave sono gli elementi principali del sound della band, con testi introspettivi e profondi, un focus sulle proprie inquietudini, un invito a scrutarsi dentro per guardare cosa è rimasto.

Carolin Albertazzi

Carolin Albertazzi