L’esordio de La classe media, con il loro EP La mela del serpente, è una ventata d’aria fresca che non cerca di piacere a tutti, ma piuttosto di essere se stessa senza troppi fronzoli. La band, guidata da Stefano Ronchi, si presenta come una sorta di odissea musicale che esplora le contraddizioni di una generazione disillusa, quella che ha visto crescere le sue speranze nel turbine dell’eurocrisi, per poi trovarsi di ritorno a casa con un’amara consapevolezza: nulla è mai come prima, e forse non lo sarà mai più.
A partire dal titolo, La mela del serpente ci accoglie con una narrazione simbolica e un sound che sa di tentazione. La mela, nel contesto di questo primo brano, non è solo un riferimento biblico, ma un invito al cambiamento, un “morso” che segna una rottura necessaria. Quello che colpisce è l’ambiguità che la band riesce a infondere in una musica che sembra suonare come una liberazione dal passato, ma che al contempo mantiene un piede ben saldo in una realtà che non possiamo ignorare. La tentazione non è vista come una caduta, ma come una scelta consapevole, quasi una sfida al destino. Il suono si costruisce lentamente, e le chitarre si intrecciano con la voce di Ronchi, segnando un inizio che non fa sconti, ma anzi, invita a guardare in faccia il nostro caos interiore.
Il brano che segue, La rivincita, è una dichiarazione di guerra al passato. Qui la band dà il massimo, con un crescendo che trasuda energia e rabbia contenuta, la sensazione di chi ha perso troppo e ora si trova finalmente pronto a lanciarsi in una battaglia contro il sistema, contro la vita, contro tutto ciò che ha ostacolato il suo cammino. Quello che però emerge con forza è l’ironia: la rivincita, in questo caso, non è quella che ci aspettiamo. Non c’è eroismo, solo un esaurimento delle lotte precedenti e la presa di coscienza che è arrivato il momento di voltare pagina, senza rimpianti e con un sorriso “dipinto sul viso”. La musica, che inizia più concitata, poi si smorza, rispecchia perfettamente questo sforzo di libertà interiore.
E poi c’è Klarastrasse. Qui, La classe media fa un passo fuori dal solito, abbracciando un’inattesa dolcezza. È una canzone d’amore, ma non una di quelle che si raccontano nei romanzi. Qui l’innamoramento non è una promessa di felicità eterna, ma qualcosa di imperfetto, vero, crudo. Con Klarastrasse, la band si butta nella magia dell’amore non con la delicata leggerezza che ci si aspetta, ma con il peso dell’esperienza. La magia di questo brano sta nel suo essere senza pretese: l’amore qui è una passeggiata nelle strade di un quartiere di Colonia, la luce che filtra dai lampioni, l’intensità dei momenti che non si spiegano facilmente. La musica è più morbida, ma mantiene una tensione sottile, quasi impercettibile, che non lascia spazio al luogo comune, ma fa emergere la bellezza della semplicità.
Quando arriva Inopportuno, il ritorno in Italia dell’expat diventa un momento di riflessione profonda. La canzone si muove in un paesaggio sonoro che è tanto dissonante quanto preciso: la sensazione di essere fuori posto in un mondo che non riconosciamo più è amplificata da una musica che non trova mai il giusto equilibrio, come il protagonista che cerca di reintegrarsi in un ambiente che ora gli appare alieno. La politica, la televisione, l’involuzione sociale sono temi esplorati in modo asciutto, senza troppi fronzoli. E proprio in questa durezza emerge la verità di Inopportuno: non c’è posto per il protagonista, e lui, consapevole di questo, preferisce continuare a essere fuori luogo. La sua inopportunità diventa una scelta. La band, con il suo sound spigoloso, si fa portavoce di una generazione che ha visto fallire le proprie lotte, ma non ha rinunciato a se stessa.
La mela del serpente è un debutto che non scivola nella facilità del racconto generazionale o del suono di tendenza. Ogni brano è un frammento di vita, una ricerca costante di una verità che non si trova mai dove la si cerca. La classe media ha il coraggio di guardare dritto negli occhi le contraddizioni della propria epoca, senza offrirci soluzioni facili, ma solo la bellezza di una musica che, con il suo suono ruvido e sincero, riesce a essere tanto inopportuna quanto necessaria.