Quando erano usciti i singoli Balla e Daltonico, avevo già intuito che il nuovo album di Scuro avrebbe avuto molto da dire. Il primo con la sua energia synth-pop, capace di trascinarti in un ritmo quasi ipnotico; il secondo con un’introspezione delicata e malinconica che mi aveva lasciato con quella sensazione di nodo in gola che solo certe canzoni riescono a creare. E adesso che ho ascoltato Multipolare nella sua interezza, posso dire che le aspettative non sono state deluse.
L’album si apre con Prequiem, una sorta di introduzione che è più di un semplice preludio: sembra un invito silenzioso a varcare una soglia emotiva. Subito dopo arriva Quando tornerà la luce, con un’anima hip-hop che si fonde perfettamente con una riflessione profonda sulla musica e sul suo ruolo nella vita di chi la crea.
Ogni brano sembra raccontare una parte diversa del mondo di Scuro. Manicomio riprende le sonorità synth-pop già accennate in Balla, ma questa volta con un testo più diretto, un dialogo generazionale che non ha paura di affrontare temi complessi. Poi ci sono le pennellate indie-rock di Quarantanni e Non ce l’ho fatta, che suonano fresche eppure nostalgiche, come se appartenessero a un tempo che abbiamo vissuto tutti.
Eppure, sono i momenti più intimi che continuano a colpirmi di più. Daltonico mantiene il suo potere evocativo anche dopo ripetuti ascolti, mentre Dopo di me mi ha sorpreso con quella coda orchestrale che esplode come un tramonto dopo un temporale. Infine, la chiusura affidata a Non lo so nemmeno io, forse è un colpo di grazia dolce e malinconico, il tipo di finale che ti lascia sospeso, come se l’album non volesse davvero finire.
La cosa che più ho apprezzato di Multipolare è la sua fluidità. Nonostante il passaggio tra generi e atmosfere diverse, tutto scorre in modo naturale, come un unico racconto che cambia sfumature ma mai tono. È un disco che non ti stanca, che non ha punti deboli, e che riesce ad alternare momenti di leggerezza e riflessione senza mai perdere l’equilibrio.